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Muselet di metodo classico italiani anonime: perché?

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E perché non usarle per promuovere le rispettive denominazioni?

Interrogativo lampo. Secondo voi un produttore di un ottimo, sorprendente metodo classico italiano, anzi piemontese, che ho bevuto qualche sera fa e di cui scriverò presto qui, é da penalizzare oppure no per la scelta di mettere una capsula (muselet) anonima o color “caghetta”, la “caghetta” di quando si sta male?
Al di là del risvolto estetico, ognuno poi può giudicare bello o brutto il colore e ribattermi che ricorda più la senape che quella roba là, io mi chiedo perché non porre attenzione anche a questo piccolo dettaglio cui in Champagne danno sempre importanza?

Talmente importante che nel corso della meravigliosa Modena Champagne Experience di ottobre era normale vedere gli appassionati raccogliere le capsule dei vari Champagne mentre degustavano alle varie postazioni.

E talmente normale, che toujours en France, basta fare una semplice ricerca su Internet, esiste nel sito Internet La Maison du Collectionneur un’intera sezione, anche in italiano (mais oui!) dedicata a “Sistemazioni Capsules e Muselets di Champagne”, con “tutto il materiale per sistemare e separare la vostra collezione di capsule di Champagne di collezione! Mantenere le vostre capsule di Champagne rare, da collezione”, album, classificatori, valigette, vetrinette e persino un vero Repertoire che “indicizza e quota quasi tutte le targhe di muselets di Champagne, cioè circa 30000 targhe. Quasi 8000 targhe di muselet sono fotografate a colori”.

Allora mi chiedo, perché rinunciare al messaggio che si veicola al consumatore mediate una cosa apparentemente banale come la capsula, perché rinunciare ad evidenziare il logo aziendale e scegliere un muselet anonimo, di colore più o meno azzeccato e in tinta con l’etichetta e l’habillage della bottiglia?

Qualcuno mi obietterà che per una piccola azienda che produce un numero limitato di bottiglie personalizzare in tal modo la capsula è costoso (francamente non so quanto possa incidere sul costo finale della bottiglia). E accetto, salvo accertarmi su quali siano i costi reali, e se siano davvero proibitivi e insostenibili (non credo) questa obiezione.

Ma nel caso di bottiglie di aziende di zone spumantistiche dotate di denominazione (Doc o Docg) non sarebbe il caso di utilizzare la capsula per riprodurre il logo o il marchio collettivo della denominazione di cui si fa parte? In tal modo i costi entrerebbero a far parte delle spese promozionali e di comunicazione stessa e si otterrebbe il vantaggio di veicolare un messaggio comune e far conoscere meglio quelle denominazioni, penso ad Alta Langa in particolare, oppure agli amici dell’Oltrepò Pavese (con la zona spumantistica bresciana e con il Trento Doc, dove Ferrari non rinuncerà a nessun costo a veicolare il proprio marchio, la vedo molto più difficile…) che non godono ancora di particolare visibilità da parte del consumatore.

E’ una modesta proposta, banale, pratica, useful direbbero gli inglesi, che mi sento di proporre alla vostra attenzione mentre Natale incombe e il countdown bollicinaro dice meno cinque e meno undici ai brindisi di Capodanno..

Attenzione!:

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Vino al vino http://www.vinoalvino.org/

e Franco Ziliani blog http://www.francoziliani.blog/


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